Arnaldo “Pagna” Pagnamenta, andrà in pensione a fine luglio, dopo 42 anni di servizio. I suoi ricordi in un’intervista.
Si avvicina il traguardo della pensione per Arnaldo Pagnamenta, un veterano tra i soccorritori professionisti di Croce Verde Lugano. L’avanzare dell’età non ha mai rappresentato per lui un ostacolo nello svolgimento dei compiti più impegnativi dal punto di vista fisico. Tempra e passione ereditati dal papà Ivo, anch’egli soccorritore, e trasmessi al figlio Christian, Infermiere specialista. A pochi mesi dalla fine della sua carriera di soccorritore lo incontriamo per un’intervista.
LEGGI SOLO LA PARTE NON PUBBLICATA NELL'EDIZIONE DI MAGGIO 2023 DELLA RIVISTA DI CROCE VERDE LUGANO
Arnaldo, è quasi tempo di bilanci, racconta…
Sono nato il 3 luglio del 1958 e andrò in pensione fra tre mesi, dopo 42 anni di servizio. Ho assistito all’evoluzione del servizio preospedaliero, sin dal momento in cui ci limitavamo a prendere il paziente e trasportarlo in ospedale. Successivamente, con l’arrivo degli infermieri specialisti dell’Ospedale Civico, siamo diventati più professionali e tecnici. Abbiamo poi ulteriormente migliorato il servizio assumendo in proprio questi infermieri specialisti. Un’ulteriore fase ha visto l’introduzione di protocolli specifici e l’arrivo di apparecchi diagnostici, presidi e veicoli di soccorso sempre più avanzati.
Come mai hai iniziato a fare il soccorritore, so che la tua è una famiglia di soccorritori, tuo papà e tuo figlio.
Prima di diventare soccorritore avevo fatto un apprendistato come montatore elettricista. Poi, seguendo le orme del papà, che ci portava spesso al Quartiere Maghetti quando era di turno, ho deciso di diventare soccorritore. Sentivo in famiglia i racconti sul mondo del soccorso di allora e delle ambulanze. Ho quindi seguito il corso di soccorritore volontario quando avevo 20 anni. All’epoca, oltre ad essere maggiorenne, era necessario avere un diploma professionale di lavoro. L’attività di soccorso mi appassionava sempre di più e dopo un anno è arrivata l’opportunità di accedere come professionista. Ho fatto domanda e mi hanno preso, entrando a far parte del servizio a 23 anni, il primo luglio del 1982. All’epoca, ogni Ente del Cantone proponeva internamente una breve formazione che consentiva di diventare soccorritori professionisti. In effetti, a quel tempo non c’erano molte differenze tra volontari e professionisti. Si lavorava con presidi e apparecchi diagnostici limitati, l’obiettivo era quello di raggiungere il paziente il più rapidamente possibile, e trasportarlo all’ospedale. Le prime cure sul posto erano limitate, ad esempio, all’applicazione di stecche per fissare gli arti. Non c’era analgesia ma solo l’emostasi per chiudere l’emorragia e non c’erano ancora infusioni come oggi.
Tuo figlio Christian dice che ha seguito le tue orme perché ti vedeva tornare a casa sempre felice, con un sorriso.
È vero, per indole sono portato a vedere gli aspetti positivi della vita. Anche Christian ha seguito il mio percorso professionale. Prima un apprendistato, poi il corso di soccorritore volontario e poi è diventato Infermiere professionale. Adesso è Infermiere anestesista e lavora presso il Servizio Ambulanza di Locarno e Valli. Anche a lui piace molto il settore preospedaliero, per ora lo preferisce rispetto alla realtà ospedaliera dove sei legato sempre a un reparto e l’attività è più statica. Nel preospedaliero trovo che sia tutto più interessante e variegato. La mattina non sai come sarà la giornata e devi saperti adattare, essere flessibile e saper trovare nuove soluzioni. Questo mi piace molto.
Come hai fatto ad arrivare a questa età ed essere ancora attivo? Non tutti sono così longevi.
Non lo so, in effetti me lo chiedono tutti. Non ci ho mai pensato. E non sono neppure molto attivo fisicamente, svolgo dei piccoli esercizi, un po’ di bicicletta, un po’ di palestra e nambudo. Mi mantengo così, non faccio grandi cose ma piccole attività mirate al rafforzamento della colonna vertebrale. Certo, mi ritengo fortunatissimo rispetto ad altri soccorritori che vedo nel mio ambiente di lavoro.
Sappiamo che da sempre sei il soccorritore di riferimento in occasione dei picchetti sanitari delle partite dell’Hockey Club Lugano.
Ricordo che prima della Resega si andava al Palazzetto del Sport di Mezzovico. A quel tempo il servizio di picchetto era di competenza dell’Ente Regionale Autolettighe di Agno. Loro lasciarono il picchetto e chiaramente prese l’incarico la Croce Verde Lugano. Ho sempre avuto la passione per l’hockey, ci sono stati anni in cui da tifoso seguivo la squadra anche in trasferta. Ho fatto i picchetti per 35 anni. In genere sono insieme ad altri quattro volontari, ma nelle partite a rischio come i derby, oppure contro Zurigo, Kloten, Berna, è prevista anche una seconda ambulanza. Durante le partite accade che è richiesto il nostro intervento, soprattutto tra il pubblico. Mentre con i giocatori si tratta per la maggior parte di casi di ortopedia, per tibia o perone, oppure qualche pattino sulle mani o sul collo. Mi è anche capitato di dover essere io a richiedere soccorso. In quell’occasione mi diedero 8 punti di sutura. Ero vicino alla balaustra, dopo un chek il bastone del giocatore mi prese in pieno sulla fronte. Ricordo un intervento di qualche anno fa con il dr. Mauri. Appena arrivati rianimammo uno spettatore, che grazie al nostro tempestivo intervento si riprese e non riportò nessun deficit. Dopo una settimana questa persona venne a trovarmi per ringraziarmi e mi disse che si ricordava della mia figura durante l’intervento e della valigia rossa di soccorso. Sono cose che sicuramente fanno piacere e danno un senso al nostro lavoro.
Sei l’ultimo soccorritore ancora attivo che ha iniziato il servizio nella storica sede di Croce Verde al Quartiere Maghetti. Cosa ricordi?
Ho lavorato al Quartiere Maghetti per circa tre anni, poi ci siamo trasferiti al Civico per un anno e mezzo, finché nel 1987 abbiamo raggiunto la sede attuale. Devo ammettere che conservo bellissimi ricordi di quei primi anni della mia carriera. Per far uscire le ambulanze, dovevamo interrompere le partite di calcio che giocavano i ragazzi dell’Oratorio. E per lavare l’ambulanza aspettavano la sera o durante il fine settimana, quando il campo era libero. La sede era composta da un locale medico-dentistico al pian terreno, accanto al quale c’era un piccolo locale operativo. Nel corridoio c’era un tavolo con un telefono e della carta per annotare le destinazioni degli interventi. All’ultimo piano, un locale mansardato con alcune camere per la notte. Al di là del piazzale, una lavanderia e un garage con tre ambulanze. Le pause caffè le facevamo al Bar Teatro o al Bar Indipendenza. Gli interventi non erano così numerosi come oggi, quindi ci concedevamo qualche pausa in più. Conservo un affetto particolare per quei tempi, quando il soccorso preospedaliero era ancora agli inizi e si poteva lavorare con un ritmo meno frenetico.
Mi dicevi che ti senti un po’ spaesato con l’avvicinarsi della pensione, pensi che ti mancherà un po’ questa realtà?
Certo, sicuramente mi mancherà moltissimo, è un ambiente in cui sono praticamente cresciuto. Mi mancherà l’adrenalina, le partenze con le luci accese, il destreggiarsi fra le auto per arrivare in tempo sul luogo dell’evento...
Hai qualche hobby?
Ho un cane pastore tedesco e spero di poter passare più tempo con lui. Adesso ho qualche problema quando lavoro 12 ore, perché ha bisogno di muoversi moltissimo e non puoi affidare a chiunque. Ha fatto delle scuole e imparato a gestire certe situazioni, con i bambini e con i cani più piccoli. Si chiama Clove (si pronuncia alla francese). È il terzo cane che ho e devo dire che i nostri amici a quattro zampe danno un bel da fare. Già oggi mi alzo tutte le mattine alle 05:30 ed esco alle 05:40 per fargli fare la consueta passeggiata.
Ricordi qualche intervento in particolare?
Ne ho in mente molti, per me un intervento riuscito è quello in cui il paziente beneficia delle nostre cure, viene portato in ospedale, magari viene operato. Poi viene dimesso e riprende la sua vita come prima: questa è la cosa più bella. Purtroppo non in tutti i casi succede. Gli interventi con i bambini sono sempre particolari, devi cercare di contenere tutte le emozioni e riflettere bene sui protocolli da applicare, che sono diversi se si tratta di un neonato o di un adolescente. Poi, avendo a fianco i familiari, non è sempre semplice.
Quali sono i cambiamenti più significativi di cui sei stato testimone?
Il soccorso preospedaliero è cambiato molto in tutti questi anni. In passato, si andava a prendere il paziente e lo si portava immediatamente in ospedale. A quei tempi, addirittura avevamo un’ambulanza con tre barelle per tre pazienti contemporaneamente, ma oggi una cosa del genere sarebbe impensabile. L’attuale procedura prevede invece una valutazione iniziale della situazione e il trattamento del paziente sul posto. Ci concentriamo sulla stabilizzazione dei punti vitali, come la respirazione e il battito cardiaco, prima di trasportare il paziente in ospedale. Per esempio, utilizziamo l’Autopulse, un dispositivo che massaggia automaticamente il torace, per mantenere attivo il cuore. Tuttavia, l’Autopulse non può essere applicato a tutti i pazienti, come le donne in gravidanza o pazienti con forte trauma toracico e bambini: in questi casi il massaggio viene fatto manualmente.
Solitamente un intervento con l’ambulanza ha dei tempi brevi, c’è il modo di instaurare qualche tipo di relazione con il paziente?
Certo, anche nell’urgenza c’è molto da relazionarsi, basti pensare solo a un trasporto oltre Gottardo, per esempio. Io personalmente tendo a parlare molto, a trovare qualche argomento in comune. A volte il paziente ti racconta tutta la sua vita e questo è molto bello e gratificante, ma non con tutti è possibile farlo. Si può instaurare una buona relazione anche in trasferimenti più brevi di venti minuti, per esempio quelli da ospedale a ospedale, quindi con pazienti non in condizioni critiche. Chiaro che lo devi volere e devi essere capace a farlo. Io credo di esserci sempre riuscito, a parte l’eccezione in cui il paziente mi dice che non ha voglia di parlare: in quel caso mi limito a tenere d’occhio il monitor e basta.
Ti è capitato di incontrare difficoltà particolari durante lo svolgimento della tua professione di Soccorritore?
Non c’è qualcosa in particolare, forse quando abbiamo dei colloqui che fanno parte della valutazione del personale. Una cosa che mi ha sempre reso felice è quando mi dicono che sono una persona che si è sempre adattata ad ogni tipo di cambiamento ed evoluzione. Forse per me l’informatica, a causa della mia età, è sempre stata un po’ un problema, io e i computer non andiamo molto d’accordo. Nonostante questo mi sono sempre adeguato, anche se non sono un mago della tecnologia. Oggi la cartella del paziente cartacea è stata sostituita con quella digitale e tramite il computer si estrapolano in tempo reali tutti i dati e le statistiche.
Cosa ti ha dato la Croce Verde Lugano?
Durante tutti i miei anni di servizio ho accumulato molte esperienze, molte delle quali preziose. Ho imparato a lavorare con le persone, e non con le macchine. Mi ha dato tutto ciò di cui avevo bisogno per crescere professionalmente e umanamente. Sono felice di aver scelto questa strada e di aver avuto l’opportunità di percorrerla fino alla fine. Invito i giovani a intraprendere questo lavoro, se lo sentono, perché è una bellissima professione. In conclusione, mi avvicino alla fine della mia carriera e intravvedo gli ultimi turni. So che potrò ancora passare per un caffè e partecipare a qualche momento conviviale, ma un po’ di malinconia comincia ad affiorare. Vorrei ringraziare di cuore la Croce Verde Lugano per tutto ciò che ha fatto per me!